Critica di Giancarlo ROCCA al libro “Storia dell'Opus Dei” di José Luis GONZALEZ GULLÓN e John F. COVERDALE

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Per Giancarlo Rocca – Pontificia Università Gregoriana – Facoltà di Storia della Chiesa

Articolo originale pubblicato in Revue d’histoire ecclésiastique (PDF) - Université Catholique de Louvain


Con notevole impegno i due Autori, entrambi membri dell’Opus Dei (= OD) —il prof. José Luis González Gullón, professore nella Pontificia Università della Santa Croce a Roma e Coverdale, già professore nella Princeton University e in altre università americane—, hanno deciso di collaborare per presentare, per la prima volta, una storia dell’OD dalle origini a oggi. I due Autori, fisicamente lontani ma incontratisi più volte, hanno condiviso non solo le loro conoscenze, ma anche le proprie responsabilità, dichiarando che la paternità del volume è di entrambi, precisando comunque che la maggior parte del volume è opera di González Gullón e che a Coverdale si deve solo il capitolo su Álvaro del Portillo (p. 403-512), che segue una propria metodologia nel raccontare la storia, una differenza da loro ritenuta di arricchimento per la ricerca (p. 18).

La struttura del volume, edito nella collana di monografie curate dall’Istituto Storico San Josemaria Escrivá, è chiara. Esso è diviso in sei grandi parti, ognuna delle quali divisa in capitoli. All’inizio di ogni parte si trovano poche pagine introduttive che cercano di illustrare la situazione socio-politica spagnola e mondiale in cui l’OD si trovava ad agire. La prima parte (3 capitoli) è dedicata alla fondazione e ai primi anni di vita dell’OD (1928-1939). La seconda parte (4 capitoli) illustra il periodo della prima approvazione ed espansione dell’OD (1939-1950). La terza parte (4 capitoli) è dedicata allo sviluppo dell’OD nei cinque continenti (1950-1962). La quarta parte si sofferma sul consolidamento dell’OD (1962-1975). La quinta parte (7 capitoli), con il titolo di La sucesion del fundador, è dedicata ad Álvaro del Portillo (1975-1994). La sesta parte (4 capitoli), con il titolo La tercera generacion, è dedicata a Javier Echevarría (1994-2016). A Fernando Ocáriz, che governa l’OD dal 2017, sono dedicate solo poche pagine, in particolare p. 520 e p. 627-628 nel breve capitolo Camino del centenario. Per quanto riguarda le note, tranne alcune ritenute esplicative e poste a piè di pagina, i due Autori hanno preferito porle tutte al termine della monografia, obbligando il lettore a un continuo andirivieni da una pagina all’altra. Gli Autori hanno ritenuto inutile indicare una bibliografia generale, bastando quella indicata nelle note. Un indice onomastico e tematico chiude il volume. Gli Autori riconoscono che nessuno può accedere all’archivio generale dell’OD e che a loro, invece, ciò è stato permesso grazie a una particolare autorizzazione dell’attuale prelato, Fernando Ocariz.

Che dire di questo volume, tipograficamente ben presentato, come sono tutti quelli editi dalla Rialp di Madrid?

Certamente è la prima volta che viene pubblicata una storia generale dell’Opus con tanta ricchezza di particolari, soprattutto con tanti nomi di persone e di iniziative (nomi di collegi, di residenze per studenti, di giornali, di università, di case editrici, ecc.) sia per il periodo iniziale della storia dell’OD che per quello contemporaneo. La strada era già stata aperta con la rivista Studia el documenta, fondata a Roma nel 2007 dall’Istituto Storico San Josemaria Escrivá, ma il cambio di rotta e di mentalità qui è più che evidente. Basti ricordare che fino a pochi anni fa era impossibile conoscere nomi e iniziative dell’OD, soprattutto per gli anni delle origini e sin oltre il 1980. Stando alle costituzioni del 1950, infatti —cioè quando l’OD aveva ottenuto l’approvazione pontificia definitiva come istituto secolare e sino alla sua trasformazione in prelatura personale nel 1982— si sa che esse prescrivevano quanto segue: l’istituto vuol vivere nascostamente (=in segreto) (art. 189); agli estranei non si deve mai rivelare il numero dei membri dell’istituto (art. 190); non si deve dichiarare a nessuno di appartenere all’OD (art. 191: «...nemini unquam semetipsos revelaturos ad Opus Dei pertinere...»); le costituzioni non debbono essere diffuse, e nemmeno eventuali istruzioni riguardanti il governo dell’istituto (art. 193). E gli «Statuta» dell’OD come prelatura, del 1982, chiedevano ai membri di promuovere una umiltà (= nascondimento) non solo personale ma anche collettiva, cioè di non presentarsi come membri dell’OD; permetteva comunque (art. 89), solo «Episcopis petentibus», di comunicar loro i nomi dei sacerdoti (non dei laici) dell’OD che lavoravano nelle loro diocesi, ma anche i nomi dei direttori dei centri «quae in dioecesi erecta habentur».

Si potrebbe discutere sulla periodizzazione adottata dagli Autori, che nelle prime due parti del volume appare focalizzata sulla storia della istituzione (sua nascita e sua approvazione definitiva come istituto secolare nel 1950). Continuando questa linea istituzionale, si sarebbe potuto arrivare, in una terza parte, sino al 1982 con la trasformazione dell’OD in prelatura personale, e in una quarta parte si sarebbe raccolta tutta l’informazione dal 1982 a oggi, sempre dividendo le singole parti in vari capitoli, come proposto dai nostri Autori. Se si fosse preferita la periodizzazione in base a coloro che hanno guidato l’OD, allora in una prima parte (sempre distinta in diversi capitoli) si sarebbe dovuto trattare di Escrivá sino alla sua morte nel 1975, e poi successivamente, nelle altre parti, di Álvaro del Portillo e di Javier Echevarria, come di falto risulta nel volume. Adottando la prima o la seconda ipotesi si sarebbe avuta una periodizzazione più coerente, con il vantaggio di un maggior lucidità nel racconto e nella evidenziazione delle idee che hanno sostenuto l’evoluzione dell’OD sia per l’aspetto istiluzionale che per la fisionomia dei suoi superiori generali o prelati. In altre parole, si sarebbe evitalta l’infinita frammentarietà delle informazioni che si ritrova anche in questo volume, e le si sarebbero raccolte verso delle idee unificanti. Sì sa, però, che la periodizzazione è spesso legata a visioni personali, non propriamente storiche, e quindi se ne lascia la responsabilità agli Autori.

L’abbondanza di informazioni contenuta nel volume di González Gullón e di Coverdale, di fatto, è tale quasi da sommergere il lettore, e ci si può chiedere se tutto sia realmente storia. Il capitolo 27 (p. 593-626), ad esempio, è una raccolta di testimonianze di membri dell’OD che dicono di esservisi trovati bene, al quale, però, dovrebbe fare da contrapposto —storicamente— un altro capitolo, mancante, con il racconto delle centinaia e centinaia di numerari e numerarie, compresi tanti sacerdoti, nonché di tanti aggregati e supernumerari, che hanno preferito lasciare l’OD (e uno dei primi e certamente dei più noti è Raimondo Pannikar), così come manca un confronto con quegli storici che hanno avanzato critiche alla ricostruzione della storia domestica dell’OD. Lacuna, quest’ultima, notata persino da un membro dell’Istituto Storico dell’OD, Alfredo Méndez Noguero, in Anuario de Historia de la Iglesia, 31 (2022), p. 685, il quale recensendo il volume degli Autori scrive: «También echo en falta una confrontación más abierta con la literatura crítica sobre el Opus Dei...»).

E si potrebbe aggiungere che, contrariamente a quanto fatto da tante istituzioni ecclesiastiche (diocesi, istituti religiosi ecc.) che non hanno difficoltà a indicare il numero dei sacerdoti diocesani o religiosi (preti e laici) che hanno lasciato la loro istituzione, l’OD non pubblica mai statistiche riguardanti coloro che l’hanno abbandonato. È vero che nel volume di González Gullón e di Coverdale, per la prima volta a mia conoscenza, si indica (p. 448) che «en el periodo 1983-1985, unas 3400 mujeres pidieron ser admitidas y 1700 de ellas no siguieron adelante»; e ancora (p. 448-449): «Entre 1983 y 1985 en España, 385 mujeres pidieron la admision como agregadas, pero un número considerable de ellas —332— no se incorporaron después». Sembra però quasi inutile aggiungere che questi dati sono del tutto insufficienti in una storia che si vuole generale, e sarebbe stato necessario pubblicare una tabella almeno per un decennio, indicando quanti avevano lasciato l’OD sia nel ramo maschile dei numerari che in quello femminile delle numerarie, e soprattutto quanti sacerdoti avevano deciso di lasciare l’istituzione.

E tornando alla questione se tutto sia storia anche nella prima parte del volume, si può rispondere che le informazioni offerte sono realmente tante, ma non c’è una discussione pro o contro del loro inserimento in un contesto che permetta di comprendere che cosa è realmente successo e come l’OD abbia raggiunto i traguardi indicati nel volume. Si indicano dei fatti, delle realizzazioni, con i nomi delle persone più o meno coinvolte e delle tante istituzioni create (collegi, residenze per studenti, riviste ecc.), come in una specie di bollettino, ma non sembra chiara la linea (cioè la periodizzazione, di cui sopra) in cui si inseriscono.

Tutto il volume, poi, è pervaso da un notevole tono agiografico nei confronti di Escrivá e anche dei suoi genitori. Di essi si dice subito (p. 26) che vivevano «la solidaridad cristiana con las limosnas...»; che insegnarono al figlio «la laboriosidad y el orden. También le enseñaron a rezar con una piedad sencilla»; e ovviamente, in occasione della sua prima comunione nel 1912 che «Josemaría pidió la gracia de no cometer nunca un pecado grave», come del resto promettevano tutti i bambini e le bambine in occasione della loro prima comunione. E dopo il fallimento dell’impresa familiare (anni 1910-1915) e la morte prematura delle sorelline, [per Escrivá] «la serena resignación cristiana de sus padres le ayudó a mantener la confianza en Dios y la esperanza en el futuro». E ancora: Escrivá nella sua vita «manifestaba una profunda vida interior y se esforzaba por mantener una presencia de Dios continua» (p. 406).

L’aspetto meno solido del volume, però, riguarda la ricostruzione della storia istituzionale dell’OD. Ecco qui alcuni punti discutibili nel modo con cui González Gullón e Coverdale narrano la storia di Escrivá e dell’OD.

P. 32-33. Parlando dei primi mesi di attività di Escrivá come prete a Perdiguera, gli Autori dicono semplicemente che, tornato Escrivá a Saragozza, «la curia diocesana no le otorgò un nombramiento para trabajar», cioè per poter avere di che vivere. I nostri due Autori nella loro espressione sono certamente più dolci della Biographia documentata edita a Roma nel 1988 come parte della Positio per la causa di canonizzazione di Escrivá, che aveva accusato la curia di Saragozza di non aver provveduto al mantenimento di questo suo sacerdote, come era suo obbligo, essendo Escriva stato ordinato «ad nutum servitii dioecesis» (Biographia documentata..., p. 173). I nostri due Autori, però, offuscano ancora una volta i fatti. In altre parole, Escrivá dopo soli circa 40 giorni di servizio pastorale a Perdiguera, aveva improvvisamente lasciato la parrocchia ed era ritornato a Saragozza. Storicamente sarebbe stato necessario non accusare la curia diocesana, ma precisare anzitutto per quale motivo Escrivá aveva lasciato la parrocchia —forse ritenuta non confacente ai suoi desideri? forse, come ebbe a dire lo stesso Escrivá: «Me enviaron allí para fastidiarme»?; oppure, come ebbe a scrivere Álvaro del Portillo: «Tutto l'aceva ritenere che qualcuno stesse usando la propria influenza per mandarlo via dalla diocesi “a bastonate”» (Summarium, p. 62, a. 235)—, e di conseguenza comprendere la posizione della curia, che certamente non si aspettava un tale rifiuto da parte di un suo neo sacerdote. La particolare situazione verificatisi in quel frangente avrebbe potuto trovare una chiarificazione da parte di storici non dell’OD se fosse stato possibile controllare il fascicolo riguardante il neo sacerdote Escrivá nell’archivio della curia diocesana di Saragozza. E ciò, però, a me non è stato possibile, come avevo già segnalato (RHE 2017, p. 257), perché andando a Saragozza avevo trovato che il fascicolo Escrivá era stato asportato —invece di farne una fotocopia— dall’OD in vista della beatificazione del fondatore. E a tutt’oggi il fascicolo, conservato dall’OD, risulta inaccessibile.

P. 77ss. Parlando dell’arrivo di Escrivá a Burgos nel gennaio del 1938 e del suo rientro a Madrid nel marzo del 1938 gli Autori nulla dicono di una pubblicazione edita da Escrivá a Burgos nel 1938 con il titolo Estudio historico-canónico de la jurisdicción eclesiástica nullius dioecesis de la IL.ma. Sra. Abadesa del monasterio de Santa María La Real de Las Huelgas. Questo volume è regolarmente citato nel 1943 —insieme ad altre pubblicazioni di Escrivá— da mons. Leopoldo Eijo y Garay, Ordinario di Madrid, nella documentazione da lui inviata alla S. C. dei Religiosi per la richiesta dell’approvazione dell’OD, ma risulta introvabile. La sua conoscenza avrebbe una certa importanza per un suo probabile legame con la tesi di laurea difesa nel 1939 da Escrivá a Madrid. E ancora una volta gli Autori nulla dicono al riguardo.

P. 90. Ancor più lacunoso il discorso degli Autori circa la tesi di laurea difesa nel 1939 da Escrivá a Madrid. Come avevo dimostrato in un lavoro relativo al volume La abadesa de las Huelgas (RHE 2018, p. 1250-1251), i nostri Autori non dicono che l’originale della tesi di laurea di Escrivá, datato 1939, è stato asportato dall’archivio dell’università madrilena e sostituito con una copia del volume a stampa La Abadesa de Las Huelgas, edito nel 1974. Lo storico non potrà mai sapere che cosa ha scritto Escrivá nel 1939, rafforzando i suoi dubbi sulle asportazioni compiute dall’OD.

P. 98. Gli Autori riescono a non dire che tutti i documenti relativi all’approvazione concessa nel 1941 da mons. Leopoldo Eijo y Garay furono posti nell’archivio segreto della curia diocesana, rispondendo alla richiesta di Escrivá, che aveva chiesto di precisare bene chi nella curia potesse conoscere questi regolamenti («...los documentos... se custodien en Nuestro Archivo Secreto»; testo del documento in Giancarlo ROCCA, L’“Opus Dei”. Appunti e documenti per una storia, Roma, 1985, p. 131; Amadeo DE FUENMAYOR, Valentín GÓMEZ-IGLESIAS, José Luis ILLANES, El itinerario jurídico del Opus Dei, Historia y defensa de un carisma, Pamplona 1989, p. 514).

P. 150. Stando agli Autori, l’assunzione di impegni temporanei o definitivi da parte dei membri dell’OD nei vari passaggi di oblazione e fedeltà, avvengono «mediante una breve ceremonia en la que cada socio manifestaría de palabra su compromiso personal ante Dios, sin votos u otras formulas de consagración». Le costituzioni del 1950, art. 53, al contrario recitano: «Pro Numerariis incorporatio Instituto, per Oblationem peracta, exigit emissionem votorum socialium pupertatis, castitatis et obedientiae. Haec vota socialia, etsi publica ad normam iuris non sint..., tamen ab Ecclesia recognoscuntur.» V’erano poi degli speciali giuramenti suppletivi che numerari e sopranumerari, per meglio conservare lo spirito dell’istituto, dovevano emettere dopo l’emissione della fedeltà (art. 58): «Quo melius vita spiritualis in Instituto servetur, socii omnes Numerarii et Supernumerarii statim post emissam Fidelitatem, tactis SS. Evangeliis el Christi nomine invocato, iureiurando... promittere debent: 1° Quoad institutum...; 2° Quoad superiores...; 3° Quoad me ipsum».

P. 163. In base alle costituzioni del 1950 secondo i due Autori: «Sacerdotes y laicos, solteros y casados, encarnaban una misma llamada espiritual y formaban una sola clase». Questa affermazione è di una semplicità disarmante e le costituzioni dell’OD del 1950 dicono il contrario, e cioè che l’OD era fortemente diviso in classi. Alla base dell’istituzione v’erano i numerari, chierici e laici, veri membri dell’istituto con l’obbligo della vita comune, ma per essere ammessi tra i numerari le costituzioni esigono un titolo accademico: «Pro admittendis numerariis requiritur... ut titulum academicum saecularem in publica civili vel civiliter recognita universitate...» (art. 35). Per le altre classi dell’OD, come oblati e sopranumerari, che non sono membri dell’OD, si dice espressamente che essi potranno svolgere il loro apostolato tra le persone della loro stessa classe sociale: «Oblati... in instituto a membris stricto sensu sumptis apte sint distinguendi... labores apostolatus exercent apud personas propriae classis socialis» (art. 25); «Quamvis Operis Dei membra stricto sensu sumpta sint sodales Numerarii...» (art. 26). L’OD non era solo diviso in classi, ma aveva una struttura fortemente elitaria. Di fatto, i numerari, membri dell’istituto, erano divisi in iscritti, cui spetta il compito di dirigere le opere dell’istituto e che godono di voce passiva; e tra gli iscritti vengono scelti gli elettori, che godono di voce attiva nella elezione del superiore generale dell’istituto. Per far parte di queste classi v’era una ulteriore selezione: «Socii inscripti a Patre nominantur... Socii electores a patre seu praeside generali nominantur» (art. 19 e 22). E per quanto riguarda gli sposati: «Coniugati tamen nequeunt ad Opus Dei pertinere, vel ipsi aggregari, nisi ut supernumerarii vel cooperatores» (art. 26, 29 e 440).

P. 166-167. La presenza di una sezione femminile nell’OD, in particolare del servizio domestico, creò difficoltà a Escrivá che il 19 marzo del 1947 aveva già predisposto un apposito regolamento per evitare i contatti tra uomini e donne. La possibilità che i due rami venissero separati dalla S. C. dei Religiosi avrebbe snaturato l’approvazione ricevuta nel 1950, ed Escrivá con una lettera, controfirmata da Álvaro del Portillo e datata 12 marzo 1952, se ne lamentò con il card. Federico Tedeschini, rilevando «che il presente atteggiamento della S. C. dei Religiosi non può essere altrimenti motivato che da denunce nei confronti dell’istituto». Gli Autori, sia per il regolamento del 1947 che per la lettera inviata al card. Tedeschini, rimandano all’archivio generale dell’OD, inaccessibile come da loro stessi confermato. La lettera al card. Tedeschini si può, però, consultare in AAV, Segr. Stato, Spoglio Federico Tedeschini 14B, mentre il regolamento della sezione femminile era già stato pubblicato da Rocca , L’“Opus Dei...”, p. 163-165, regolamento già a stampa nel 1947, contrariamente a quanto i nostri Autori scrivono, che attribuiscono la prima edizione a stampa al 1950 (p. 643). Per rendersi conto di come erano tenuti separati uomini e donne nell’OD, ecco alcuni dei punti fissati nel regolamento del 1947: «6. Los miembros varones del instituto no ven nunca... a las sirvientes que forman parte de la Administración, no saben sus nombres y no hablan para nada con el servicio... 8. El Oratorio es... siempre diverso. Y, cuando esto no es posible, las asociadas asisten a los actos de culto detrás de una reja, como se usa para las monjas de clausura cuando sus iglesias están abiertas al público».

P. 168-169. Il modo con cui i due Autori raccontano la vicenda dei vari tentativi di elevare Escrivá alla dignità episcopale è molto sommario e ignora quanto risulta dalle fonti. Come essi affermano, è vero che mons. Leopoldo Eijo Garay aveva patrocinato nel 1948 (data che essi ignorano) la nomina di Escrivá a Vescovo, insieme con il vescovo di Tuy nello stesso 1948 (lettera che essi non conoscono), ma ignorano la decisa opposizione (Non expedire del 28 ottobre 1948) della Segreteria di Stato alla sua nomina (AAV, Segr. Stato, 1948, Ordini Religiosi Maschili, 424), opposizione comunicata al p. Arcadio Larraona, il claretiano che in quegli anni seguiva le questioni giuridiche per il riconoscimento dell’OD come istituto secolare, e da lui condivisa. Ecco quanto sì scerive nel documento: «Il p. Larraona ha ringraziato, aggiungendo di essere lieto di tale risoluzione, perché a suo giudizio l’elevazione all’episcopato [di Escrivá]... non gioverebbe allo stesso istituto da lui fondato» (ivi). Questa posizione negativa della Segreteria di Stato si mantenne a lungo, al punto che, nel 1956, ormai persuasi che sarebbe stato impossibile per l’OD far accedere Escrivá all’episcopato, il segretario generale dell’OD, Antonio Pérez (che poi uscì dall’OD) propose che, in sua vece, potesse almeno essere nominato Álvaro del Portillo. E si sa, dalla storia, che Álvaro del Portillo lo divenne solo nel 1991, cioè dopo che nel 1982 l’OD era stato trasformato in prelatura. Giova qui ricordare che nel 1948 in Segreteria di Stato era attivo mons. Giovanni Battista Montini, futuro papa Paolo VI, e che l’opposizione della Segreteria di Stato alla nomina di Escrivá a vescovo si diffuse rapidamente, grazie alla testimonianza di Antonio Pérez, che aveva interpellato appositamente il Ministro degli Esteri di Spagna, Martin Artajo, ricevendo come risposta: «La exclusión de Escrivá no habia sido obra del Gobierno español, sino del Vaticano» (Alberto Moncapa, Historia oral del Opus Dei, Barcellona, 1987, p. 93). Non basta quindi scrivere, come fanno gli Autori, che Escrivá «no deseaba la dignidad episcopal» (p. 169).

P. 203. La questione del segreto, richiesto dall’OD nel 1947 e 1949 e concesso dalla S. C. dei Religiosi, viene ancora una volta ignorata dagli Autori. Seguendo l’esempio dei loro confratelli DE FUENMAYOR, GÓMEZ-IGLESIAS, ILLANES, El itinerario juridico del Opus Dei, Historia e defensa de un carisma..., che avevano rifiutato di pubblicare quanto li riguardava espressamente, anche gli Autori nulla dicono al riguardo. Ora i testi non solo erano già noti, ma anche autentici (cl. Rocca, L’”Opus Dei” - 168-169, n. 34, e p. 170, n. 36). Con il segreto l’OD era dichiarato libero e i vescovi non avevano alcun diritto di visita nei confronti dei membri dell’OD, neppure della sezione femminile, inglobata nella clericalità di tutto l’istituto.

P. 203. Il modo con cui gli Autori presentano la questione del sommmario delle costituzioni da consegnare ai vescovi diocesani nasconde ancora una volta la realtà dei fatti. Essi scrivono che il sacerdote dell’OD a capo di una nuova circoscrizione, chiedendo all’Ordinario locale il permesso di avere l’oratorio nella casa, «con el fin de que conociera el derecho por el que se regía el Opus Dei, le entregaba un sumario de las Constituciones de 1950». Leggendo queste espressioni, i membri dell’OD certamente saranno portati a lodare il comportamento dei loro antichi direttori, ma non sapranno mai come si svolgevano i fatti. Basandosi sulla propria esigenza del segreto, l’OD era riuscito, nel 1947 e nel 1949 —come sopra ricordato—, a ottenere dalla S. C. dei Religiosi il «privilegio» di non presentare le proprie costituzioni ai vescovi diocesani, ma solo un sommario. Ora di questo sommario esistono diverse edizioni a stampa, due delle quali sono state edite nel 1948, entrambe riducono a 24 gli articoli delle costituzioni da presentare ai vescovi, e una di esse nel titolo del frontespizio «Societas sacerdotalis Sanctae Crucis et Opus Dei» aggiunge: Summarium constitutionum. E in quest’ultima, due righe manoscritte aggiungono la precisazione che l’OD aveva ricevuto l’approvazione definitiva come istituto secolare nel 1950. La ristampa del Summarium del 1950 porta a 26 i 479 articoli delle costituzioni del 1950 e include l’approvazione ottenuta nel 1950.

P. 346-347. Il modo con cui gli Autori presentano quella che è forse la prima richiesta di Escrivá di trasformare il suo istituto in prelatura nullius è piuttosto generico. A parte il fatto che non si fa riferimento alla lettera indirizzata da Escrivá il 7 gennaio 1962 al card. Amleto Giovanni Cicognani, con la preghiera di trasmettere la sua supplica al Pontefice, sempre in data 7 gennaio 1962, risulta che Escrivá aveva allora chiesto di erigere il suo istituto in prelatura nullius fornendogli un territorio simbolico, che poteva essere «il piccolo territorio della attuale casa generalizia (viale Bruno Buozzi, 73, Roma); o un piccolo territorio in una delle diocesì più o meno vicine a Roma, ma sempre in Italia...». E non si dice neppure che il card. Domenico Tardini, a conoscenza del progetto di Escrivá certamente come cardinale protettore dell’OD, aveva espresso un giudizio fortemente negativo —stando a una nota del card. Valeri in una ponenza ciclostilata del febbraio 1962—, dicendo che si trattava di un progetto «che non sì reggeva in piedi», ma si scrive semplicemente (p. 347): «El cardinal Tardini manifestó en el mes de junio que todavía no era oportuno presentar una solicitud formal». (Alcuni accenni al riguardo in Rocca, L"Opus.Del" e p.. 92).

P. 424-446: la trasformazione dell’OD in prelatura personale. I dirigenti dell’OD erano ben coscienti che la forza della loro istituzione non stava nei preti a essa incardinati, ma nelle tante migliaia dei suoi laici. Quando l’OD era istituto secolare, preti e laici avevano una reale incorporazione nell’istituzione, che trovava il proprio culmine nella professione di fedeltà, grazie alla quale i numerari, uomini e donne, avevano un loro preciso posto all’interno della istituzione, analogamente a quanto avveniva per gli istituti religiosi. Bisognava perciò, cercando un nuovo statuto, trovarne uno che in qualche modo salvaguardasse la presenza dei laici nell’istituto. Di qui l’esplicita richiesta di approvare ’OD come prelatura personale «cum proprio populo». Dei vari passaggi legati alla richiesta del nuovo statuto, i due Autori, o meglio Coverdale (al quale si deve questa parte, che sembra storicamente ancor meno solida) non dicono mai esplicitamente che Álvaro del Portillo, nella sua lettera del 23 aprile 1979 controfirmata dal segretario generale Echevarria e indirizzata al card. Sebastiano Baggio, Prefetto della S. C. per i Vescovi, dichiarava che la richiesta era «cum proprio populo». Inoltre, gli Autori nella lettera al card. Baggio precisano che i laici sarebbero stati incorporati nella prelatura «mediante opportuni contratti o convenzioni, che regoleranno la mutua prestazione di servizi». Storicamente, ci si sarebbe dovuto chiedere che cosa perdevano i laici, realmente incorporati nell’OD come istituto secolare, con il passaggio alla prelatura, e se realmente si possa ancora parlare di «incorporazione», come scrive Álvaro del Portillo, perché si tratta di un contratto, per forza di cose di carattere privatistico e che si deve stipulare con ciascuno dei laici. Sarebbe stato storicamente interessante conoscere almeno le linee generali di questo contratto, ma gli Autori non hanno ritenuto opportuno appagare la nostra curiosità. E anche gli «Statuta» dell’OD come prelalura si mantengono su linee molto generali e non precisano quali siano i reciproci diritti e doveri dell’OD e di colui che viene incorporato: «Pro incorporatione temporanea et definitiva alicuius christifidelis, fiat a Prelatura et ab eo cuius intersit formalis declaratio coram duobus testibus circa mutua officia et iura» (art. 27 $ 1). In ogni caso, trattandosi di contratti personali tra i laici e la prelatura, è chiaro che i laici non sono veri membri della prelatura, conservano la propria diocesi, il proprio vescovo, la propria parrocchia; l’unione giuridica pattizia alla prelatura, a rigore, è molto inferiore alla incorporazione a un istituto di vita consacrata o società di vita apostolica. Inoltre, stando al canone 296 del Codice di diritto canonico del 1983, come materia della convenzione tra i laici e la prelatura risulta solo l’attività apostolica esterna, che poi viene sottomessa al vescovo locale (c. 297). Il prelato dell’OD, quindi, è ordinario (non ordinarius loci) per i suoi sacerdoti e diaconi, non per i laici, e deve chiedere permesso volta per volta per impiantare il proprio apostolalo in una diocesi determinata. E a questo punto si possono vedere più accuratanente alcuni passaggi storici che rilevano le difficoltà dell’OD per spiegare la natura di questo legame:

a) nel documento Praelalurae personales della S. C. per i Vescovi del 23 agosto 1982 riguardante l’OD si distingueva tra un «clerus... incardinatus e i laici... qui servitio finis apostolici Praelaturae proprii sese dedicant, graves et qualificatas obligationes ad hoc assumentes, id efficiunt non vi votorum, sed vinculi contractualis iure definiti» {1, c);

b) la costituzione apostolica Ut sit del 28 novembre 1982 ripeteva la stessa idea, continuando a distinguere tra un clero incardinato e «quoad peculiarum obligationum quas ipsi sumpserunt vinculo iuridico, ope conventionis cum Praelatura initae, laicos...» (III);

c) le stesse cose, come certificano i due Autori, ripeteva Álvaro del Portillo, spiegando la natura della prelatura: «... Del Portillo explicó algunas particularidades... Por ejemplo, aclaró que la forma de incorporación temporal y definitiva al Opus Dei se haría a través de una declaración de tipo contractual...» (p. 440);

d) nel volume più volte sopra citato, El itinerario juridico del Opus Dei..., del 1989, però, si usa una formula più ampia, mantenendo comunque l’idea del contratto che lega anche il laico alla Prelatura (p. 472): «La solución llegó con la erección en Prelatura personal, en la que... la asunción por parte de sus miembros de “compromisos serios y cualificados”, se establece “mediante un vinculo contractual bien definido, y no en virtud de unos votos”»;

e) con il trascorrere degli anni la natura contrattuale del vincolo che lega i laici alla Prelatura crea difficoltà all’OD, ed ecco quanto si scrive nel Catecismo della Prelatura nella settima edizione del 2003, p. 24, n. 11: «El vínculo de los fieles [per fieles l’articolo 6 intende sia cherici che laici: Son fieles de la Prelatura del Opus Dei los clérigos incardinados y los seglares incorporados] con la Prelatura no es de naturaleza contractual, sino el proprio de la pertenencia a una circunscripción eclesiástica. De naturaleza contractual es la declaración que causa ese vínculo»;

f) e nella ottava edizione del Catecismo de la Prelatura de la Santa Cruz y Opus Dei, edito nel 2010, si scrive, cap. I, n. 11: «El vínculo de los fieles [per fieles l’articolo 6 intende sia chierici che laici: Son fieles de la Prelatura del Opus Dei los clérigos incardinados y los fieles seglares incorporados] con la Prelatura no es de naturaleza contractual, aunque la declaración que crea ese vinculo tenga una forma externa de tipo contractual. El vínculo tiene un origen contractual en cuanto nace de una declaración mutua. En cambio, el vínculo que surge de esa declaración no tiene naturaleza contractual, porque ni la Prelatura ni los fieles pueden establecer o modificar a su arbitrio su contenido».

I due Autori non spiegano questo susseguirsi di posizioni non facile da comprendersi —potremmo dire tortuose?—, perché accomunano chierici e laici (= fedeli) in un’unica incorporazione, mentre i documenti pontifici distinguevano accuratamente tra chierici e laici; e, dopo aver accennato ad alcuni teologi e canonisti con diverse opinioni, essi respingono la tesi di «autores que sostienen que los laicos no pueden ser miembros de pleno derecho de las prelaturas personales...» (p. 443-445).

Si potrebbero segnalare altre letture a posteriori, presenti nel volume, motivate dalla spiegazione che Escrivá voleva qualche cosa di diverso per il suo istituto e che le approvazioni ottenute mai corrispondevano a quanto egli avrebbe desiderato. È tuttavia necessario segnalare che tutta la documentazione conservata nell’archivio della Congregazione dei Religiosi per il periodo in cui ’OD era istituto secolare, cioè dal 1947 al 1982, non si trova più nell’archivio della Congregazione, perché fu da qui prelevata in vista della canonizzazione di Escrivá. Una ricerca presso la Congregazione dei Vescovi, da cui ’OD ha cominciato a dipendere dal 1982, per ritrovare questo materiale, ha dato esito negativo, così come esito negativo ha dato una ricerca presso l’Archivio Apostolico Vaticano, ora aperto sino al 1958. Resta quindi l’interrogativo di come fare a conoscere questa documentazione e, in base a essa, se non sia possibile migliorare la conoscenza che noi abbiamo dell’OD. E si potrebbe aggiungere che, al termine del volume, i nostri due Autori avrebbero potuto esprimere le loro riflessioni sul cammino percorso dall’OD, perché la fisionomia segreta mantenuta per tanti anni non si concilia con la natura pubblica della prelatura; e avrebbero anche potuto, sia pure discretamente, mettere in luce le tante sviste presenti nella storiografia domestica dell’OD.

Possiamo così arrivare al recentissimo intervento di papa Francesco che, proseguendo il cammino della riorganizzazione della Curia romana, con il motu proprio del 14 luglio 2022, Ad Charisma tuendum, ha ridotto fortemente la struttura gerarchia dell’OD, ponendolo non più alle dipendenze della Congregazione dei Vescovi, ma del Clero, come una associazione di preti, e invitando, di conseguenza, a mutare le disposizioni contenute nella costituzione apostolica Ut sit del 1982. Ciò facendo papa Francesco non faceva altro che dare concretezza a quanto stabilito nella costituzione apostolica Praedicate Evangelium del 19.3.2022 (art. 117), che aveva sottoposto le prelature al Dicastero per il Clero. E papa Francesco ha disposto pure che il prelato dell’OD non potrà più essere insignito dell’ordine episcopale, cosa che si poteva prevedere per il fatto che l’attuale prelato dell’OD, Fernando Ocariz, nonostante i vari anni trascorsi al governo dell’OD (dal 2017), non è stato assunto alla dignità episcopale. In pratica, papa Francesco ha chiuso le tante discussioni sulla struttura gerarchica dell’OD, ne ha messo in primo piano il ramo clericale, lasciando l’interrogativo di come potranno trovar: figurazione dell’OD.

Si può certamente affermare —ripetendo il detto tradizionale— che l’arrivo di un nuovo Papa potrebbe riportare l’OD allo statuto precedente e sopprimere quello fortemente riduttivo di papa Francesco. La questione, però, non mi sembra possa essere posta in questi termini, cioè di interventi autoritativi che cassano quanto precedentemente stabilito, ma deve essere mantenuta nell’ambito storico. La configurazione dell’OD come struttura gerarchica con una netta distinzione tra chierici e laici «incorporati» —il termine, ormai si sa, non è adeguato — mediante un contratto di natura privatistico ha indebolito la presenza dei laici nell’OD, che sarebbe risultata molto più accentuata e sicura mantenendo la struttura di istituto secolare o adottando quella di società di vita comune, ora società di vita apostolica.

In conclusione, penso che possiamo essere grati a González Gullón e a Coverdale per aver certamente fornito tante informazioni che nessuno finora conosceva. Per quanto riguarda invece la storia dell’OD come istituzione, le loro reticenze sono palesi. Rimaniamo purtroppo nell’ambito di una storia domestica, che non convince gli storici esterni, i quali hanno diritto di studiare le fonti personalmente. La difficoltà maggiore è per i membri dell’OD. Prima o poi qualcuno di loro chiederà conto dei vuoti, delle reticenze, delle semplificazioni, delle asportazioni e delle amplificazioni sparse nelle storie domestiche del loro fondatore e del loro istituto, e ne chiederanno il perché. Essi hanno diritto di conoscere dai loro storici come sono andatte realmente le cose. Come scriveva Escrivá: «No tengas miedo a la verdad, aunque la verdad te acarree la muerte» (Camino, n. 34).